Ovvero, Tabata e dintorni
Se state leggendo queste righe, sapete che cos’è il metodo HIIT, quindi mi limiterò a definirlo più che brevemente: l’High Intensity Interval Training (HIIT) è un metodo di allenamento cardiovascolare che prevede l’alternanza tra periodi di esercizio anaerobico breve e intenso a periodi di recupero attivo o passivo. Dal momento che tale metodica migliora le capacità cardiovascolari, la si pratica prevalentemente a corpo libero.
Il metodo ha radici relativamente profonde, un sistema simile veniva utilizzato infatti dai mezzofondisti del nord Europa, dove gli allenatori finlandesi, negli anni venti, avevano individuato il sistema “fartlek”, che letteralmente significa “gioco di velocità”, in quanto venivano alternati – senza troppo rigore – momenti in cui la corsa era intensa e veloce ad altri di corsa lenta.
Per arrivare a un sistema codificato occorre aspettare Emil Zatopek, straordinario mezzofondista cecoslovacco, tre ori alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952, giusto per collocarlo temporalmente, che si sottoponeva ad allenamenti che avevano il sapore delle torture, del tipo 50 ripetute sui 400 metri, corsi tutti più o meno in 68 secondi, con una breve pausa attiva. Per comprenderlo meglio, provate a correre una sola volta i 400, a velocità elevata, poi fate le vostre considerazioni sulla durezza dell’allenamento del cecoslovacco.
La metodica rimane comunque racchiusa nell’ambito del mezzofondo dell’atletica leggera, dove l’interesse per l’allenamento a intervalli risveglia l’interesse di ricercatori come Olof Astrand, Erik Hohwu Christensen, che negli anni settanta confrontavano gli effetti fisiologici ed allenanti di una corsa continua con quelli di una corsa a intervalli, rilevando che esistevano alcuni elementi a favore dell’allenamento intervallato. Non così tanti come spesso si vuol far credere, ma emergono comunque dei vantaggi.
Facciamo un salto in avanti, fino al 1996, quando in un laboratorio dell’Università di Tokyo, il dottor Izumi Tabata mette a punto un sistema di allenamento che possa garantire un’alta intensità in un breve spazio di tempo.
Riunì, per una serie di test, un gruppo di ciclisti (altre fonti parlano di pattinatori su ghiaccio), che pedalavano su bici stazionarie indossando una maschera per il controllo del consumo di ossigeno.
Il medico giapponese testò il consumo metabolico utilizzando un breve allenamento a intervalli e una serie di opzioni riguardo all’intensità. Il miglior risultato risultò essere l’intensità prodotta al 170% della Vo2max (una intensità massimale per capirci, (che viene definita “all out”) nel protocollo che ormai tutti conoscono: 20” di lavoro e 10” di riposo passivo, ripetuto otto volte.
La metodologia è efficace per garantire un adattamento cardiovascolare, ma anche come strategia dimagrante, in quanto l’EPOC (cioè il consumo di ossigeno post esercizio) aumenta il metabolismo basale nelle ore successive all’allenamento.
Esistono altre forme di HIIT, studiate e rilevate negli anni successivi alla ricerca di Tabata.
Uno dei più accreditati è il metodo Gibala. Martin Gibala è un simpatico medico canadese che ha identificato il metodo 60” – 60” (ovviamente ci si riferisce all’alternanza esercizio – riposo), ripetuto per 10 volte. A una intensità evidentemente più bassa rispetto al Tabata.
Nello specchietto sono indicate altre modalità (il metodo Gibala appare sotto la paternità di Little, in realtà i due hanno collaborato al protocollo).
Quali sono i benefici indotti da questa modalità allenante?
- controllo glicemico
- sensibilità insulinica
- diminuzione dell’ipertensione
- aumento del consumo lipidico
- diminuisce la produzione di grelina (ormone dell’appetito)
Inoltre aumenta i livelli di alcuni ormoni:
- estrogeni
- HGH, secreto dalla pituitaria, è lipolitico, aumenta la forza delle ossa e incrementa i muscoli
- Testosterone, densità delle ossa, grasso addominale…
- Cortisolo
Per finire, il metodo HIIT produce un consumo, per ogni minuto, dello 0,005% di grasso contro lo 0.0026 di uno standard cardio, cioè una corsa continuata.